Titolo Originale: Diary of the Dead (Letteralmente: Il Diario dei Morti)
Regia: George A. Romero
Cast: Michelle Morgan, Joshua Close
Genere: Horror
Sottogenere: Zombie Movie
Sottogenere: Zombie Movie
“Il problema non è che la gente si sveglia morta, ma che i morti si risvegliano.” – Professor Maxwell
Un gruppo di studenti di un college si trovano nei boschi per girare assieme al loro professore un cortometraggio. Improvvisamente la radio trasmette una notizia inquietante, alcuni morti hanno ricominciato a vivere e aggrediscono la gente. I ragazzi corrono a cercare le loro famiglie per assicurarsi che stiano bene, ma durante il viaggio verso casa li attenderà un destino che andrà peggiorando di ora in ora.
Molti registi hanno cercato la via della fama girando remake di diversi film di successo ma pochissimi sono riusciti a fare meglio dell’originale. Fin qui possiamo capirlo, non tutti hanno la stessa ispirazione o quel magico tocco da artista dei cineasti talentuosi che li hanno preceduti.
L’unico regista che si cimenta nel girare il remake dei suoi stessi film, però, è George A. Romero e ogni volta che ci riprova è sempre a un livello inferiore della volta precedente. Questo non riesco a capirlo… Nessuno vuole togliere a Romero il titolo di indiscusso maestro dell’horror, è lui che ha dato vita al capolavoro La Notte dei Morti Viventi segnando l’inizio del mito intramontabile degli zombi mangia-uomini (gli zombi si erano già visti al cinema in pellicole quali Ho Camminato con uno Zombie del 1943 oppure L’Isola degli Zombies del 1932 ma non mangiavano esseri viventi) ma, nel continuo tentativo di ringiovanire il franchise della sua opera prima, ha letteralmente esaurito i colpi in canna da sparare.
L’unico regista che si cimenta nel girare il remake dei suoi stessi film, però, è George A. Romero e ogni volta che ci riprova è sempre a un livello inferiore della volta precedente. Questo non riesco a capirlo… Nessuno vuole togliere a Romero il titolo di indiscusso maestro dell’horror, è lui che ha dato vita al capolavoro La Notte dei Morti Viventi segnando l’inizio del mito intramontabile degli zombi mangia-uomini (gli zombi si erano già visti al cinema in pellicole quali Ho Camminato con uno Zombie del 1943 oppure L’Isola degli Zombies del 1932 ma non mangiavano esseri viventi) ma, nel continuo tentativo di ringiovanire il franchise della sua opera prima, ha letteralmente esaurito i colpi in canna da sparare.
In questo film tutto è scontato e troppo politicamente corretto, a partire dagli attori, tutti ragazzi e ragazze fotogenici e carini, sempre vestiti bene e puliti anche dopo aver ucciso qualcuno.
L’unica attrice “normale” muore subito e non ci resta altro che il professor Maxwell, cavaliere solitario dalla facile battuta alla Clint Eastwood, che nulla aggiunge al film se non goffaggine.
L’idea di base sarebbe mantenere lo stile di un documentario, girando il tutto in prima persona, ed ecco che entra in gioco l’aspetto migliore della pellicola, ovvero proprio la regia. L’operatore della steadycam è abilissimo a riprendere le scene dal verso giusto evitando inutili sobbalzi o sterzate brusche come in Cloverfield, che danno agli spettatori sensazioni di vertigini e impediscono di mettere a fuoco l’inquadratura. Qui tutto è molto pulito e ben fatto. Questo stile di ripresa si concilia molto bene con l’atmosfera degli zombi-movie, non togliendo nulla alla suspense generata dal trovarsi in un mondo senza più vivi, anzi addirittura esaltando il senso di continua solitudine proprio grazie alla mancanza di stacchi tra le scene.
Per raggiungere un buon livello in una storia che non concede pause visive è d’altro canto indispensabile una buona sceneggiatura che eviti cali di tono e comportamenti dei personaggi inverosimili. Ecco invece il punto di maggiore vulnerabilità del film: la sceneggiatura. Dei ragazzi di poco più di 20 anni si ritrovano in poche ore circondati da morti che camminano e cominciano a usare le pistole sparando come cecchini professionisti con un colpo perfetto al centro della fronte degli zombi, non rimanendo per nulla schockati (o almeno la loro recitazione non ce lo fa capire). Il personaggio del professor Maxwell fa il verso all’elfo Legolas de Il Signore degli Anelli, preferendo alle pistole l’arco e non sbagliando mai un colpo.
Insomma Romero, o chi per lui, non sa come tirare avanti per 95 minuti di pellicola e i suoi attori non lo aiutano. Ecco che a metà del film entra in scena una banda di ragazzi di colore, sciacalli della zona, che ad altro non serve che come scusa per riempire i ragazzi di armi, come nel miglior videogioco sparatutto, visto che nelle due scene precedenti avevano finito tutte le munizioni e pure la benzina.
L’unica attrice “normale” muore subito e non ci resta altro che il professor Maxwell, cavaliere solitario dalla facile battuta alla Clint Eastwood, che nulla aggiunge al film se non goffaggine.
L’idea di base sarebbe mantenere lo stile di un documentario, girando il tutto in prima persona, ed ecco che entra in gioco l’aspetto migliore della pellicola, ovvero proprio la regia. L’operatore della steadycam è abilissimo a riprendere le scene dal verso giusto evitando inutili sobbalzi o sterzate brusche come in Cloverfield, che danno agli spettatori sensazioni di vertigini e impediscono di mettere a fuoco l’inquadratura. Qui tutto è molto pulito e ben fatto. Questo stile di ripresa si concilia molto bene con l’atmosfera degli zombi-movie, non togliendo nulla alla suspense generata dal trovarsi in un mondo senza più vivi, anzi addirittura esaltando il senso di continua solitudine proprio grazie alla mancanza di stacchi tra le scene.
Per raggiungere un buon livello in una storia che non concede pause visive è d’altro canto indispensabile una buona sceneggiatura che eviti cali di tono e comportamenti dei personaggi inverosimili. Ecco invece il punto di maggiore vulnerabilità del film: la sceneggiatura. Dei ragazzi di poco più di 20 anni si ritrovano in poche ore circondati da morti che camminano e cominciano a usare le pistole sparando come cecchini professionisti con un colpo perfetto al centro della fronte degli zombi, non rimanendo per nulla schockati (o almeno la loro recitazione non ce lo fa capire). Il personaggio del professor Maxwell fa il verso all’elfo Legolas de Il Signore degli Anelli, preferendo alle pistole l’arco e non sbagliando mai un colpo.
Insomma Romero, o chi per lui, non sa come tirare avanti per 95 minuti di pellicola e i suoi attori non lo aiutano. Ecco che a metà del film entra in scena una banda di ragazzi di colore, sciacalli della zona, che ad altro non serve che come scusa per riempire i ragazzi di armi, come nel miglior videogioco sparatutto, visto che nelle due scene precedenti avevano finito tutte le munizioni e pure la benzina.
Arriviamo, infine, all’aspetto più assurdo: per poter realizzare un film girato in prima persona ci vuole un personaggio del cast che interpreti il regista, altrimenti come avremmo fatto a ritrovare “pellicole perdute” come quelle di The Blair Witch Project o di Cannibal Holocaust?
Questo ruolo viene affidato al personaggio di Jason che mentre tutti i suoi amici, compresa la sua ragazza, vengono massacrati, mangiati vivi e inseguiti dagli zombi, non fa altro che riprenderli inerme senza il minimo senso di pena, responsabilità, amicizia o quant’altro possa portarlo a lasciare la telecamera e dare una mano per aiutare le uniche persone vive oltre a lui a sopravvivere, sopravvivendo di riflesso egli stesso considerato che l’unione fa la forza.
Analizzando il comparto di effetti speciali possiamo dire che sono di buon livello ma il vero amante degli zombi si aspetterebbe almeno una pellicola grondante sangue. Nemmeno qui Romero ci accontenta. Le scene violente sono pochissime e nemmeno tanto sanguinolente, alcune addirittura comiche (vedi la scena dell’amish), inserite solo per alzare di poco la tensione da dormitorio che avvolge il film. Inutile aggrapparsi all’ultima speranza, ovvero le famose critiche sociali che Romero ha inserito quasi sempre nelle sue pellicole per dare un certo spessore.
I suoi morti viventi rappresentavano la metafora dell’uomo metropolitano annientato spiritualmente dal consumismo dilagante, nuova piaga dell’umanità. In Diary of the Dead si vorrebbe criticare l’annientamento dei sensi causato dai media e da internet, che rende gli uomini meri spettatori della realtà circostante e non protagonisti, argomentazione che troverebbe basi molto serie ma che inserita in questo film ci sembra solo la scusa per giustificare il comportamento fuori da ogni logica di Jason e quindi l’esistenza del film stesso, in realtà concepito più come una manovra commerciale.
Per chi volesse conoscere George A. Romero all’apice della sua espressione artistica consiglio vivamente i famosi La Notte dei Morti Viventi del 1968, Zombi del 1978 e Il Giorno degli Zombi del 1985, conosciuti come “La Trilogia dei Morti Viventi”.
Questo ruolo viene affidato al personaggio di Jason che mentre tutti i suoi amici, compresa la sua ragazza, vengono massacrati, mangiati vivi e inseguiti dagli zombi, non fa altro che riprenderli inerme senza il minimo senso di pena, responsabilità, amicizia o quant’altro possa portarlo a lasciare la telecamera e dare una mano per aiutare le uniche persone vive oltre a lui a sopravvivere, sopravvivendo di riflesso egli stesso considerato che l’unione fa la forza.
Analizzando il comparto di effetti speciali possiamo dire che sono di buon livello ma il vero amante degli zombi si aspetterebbe almeno una pellicola grondante sangue. Nemmeno qui Romero ci accontenta. Le scene violente sono pochissime e nemmeno tanto sanguinolente, alcune addirittura comiche (vedi la scena dell’amish), inserite solo per alzare di poco la tensione da dormitorio che avvolge il film. Inutile aggrapparsi all’ultima speranza, ovvero le famose critiche sociali che Romero ha inserito quasi sempre nelle sue pellicole per dare un certo spessore.
I suoi morti viventi rappresentavano la metafora dell’uomo metropolitano annientato spiritualmente dal consumismo dilagante, nuova piaga dell’umanità. In Diary of the Dead si vorrebbe criticare l’annientamento dei sensi causato dai media e da internet, che rende gli uomini meri spettatori della realtà circostante e non protagonisti, argomentazione che troverebbe basi molto serie ma che inserita in questo film ci sembra solo la scusa per giustificare il comportamento fuori da ogni logica di Jason e quindi l’esistenza del film stesso, in realtà concepito più come una manovra commerciale.
Per chi volesse conoscere George A. Romero all’apice della sua espressione artistica consiglio vivamente i famosi La Notte dei Morti Viventi del 1968, Zombi del 1978 e Il Giorno degli Zombi del 1985, conosciuti come “La Trilogia dei Morti Viventi”.
Curiosità:
- La scena in cui lo zombi sdraiato sul lettino dell’ospedale si gira facendo cadere a terra le interiora è uguale a una scena del film Il Giorno degli Zombi, sempre di Romero.
- Nella scena in cui i ragazzi si trovano nel garage di Ben la voce alla radio che annuncia le news è la stessa utilizzata nel precedente La Notte dei Morti Viventi.
VOTO: 3/10