Titolo Originale: The Pit and the Pendulum
Regia: Roger Corman
Cast: Vincent Price, Barbara Steele
Genere: Thriller
Sottogenere: Gotico
Sottogenere: Gotico
“Morirai di una morte terribile! Morirai!” – Nicholas Medina
Siamo nel sedicesimo secolo, il giovane Francis Barnard giunge in Spagna dall’ Inghilterra per far luce sulla morte della sorella Elizabeth, moglie di Nicholas Medina. Arrivato al castello chiede spiegazioni sulla causa del decesso ma le risposte di Medina sono vaghe, al punto da portare Francis a sospettare che sia stato lui stesso ad ucciderla. Egli invece è sconvolto ed è convinto di avere seppellito viva la moglie a seguito di una diagnosi di morte errata da parte del medico di famiglia, il dottor Leon. Un susseguirsi di spettrali avvenimenti cominciano a verificarsi tra le mura del castello e per evitare di cadere nel baratro della follia, Medina decide di esumare la salma della moglie dal luogo in cui riposa.
Il Pozzo e il Pendolo è la seconda pellicola del ciclo ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe, composto da otto film prodotti e realizzati dal grande Roger Corman.
In quest’opera, e ancora di più nel precedente I Vivi e i Morti, Corman dà il meglio di sè realizzando un intramontabile capolavoro di cinema gotico.
Ad aiutarlo in questa impresa il prolifico e sempre brillante sceneggiatore Richard Matheson, che per dare vita a questo film riprende in mano il racconto di Poe stravolgendone gli eventi e caricando l’atmosfera di tragico pathos.
Nel racconto originale si narravano, in forma di soliloquio, le emozioni di un uomo che stava per essere giustiziato dall’ Inquisizione spagnola mentre nel film la trama è diversa ma non meno drammatica. Nicholas Medina è figlio di un inquisitore e nei sotterranei del castello di famiglia si trovano ancora gli strumenti di tortura del padre. Da bambino Nicholas scoprì come questi macchinari venivano utilizzati e lo shock gli procurò terribili visioni che ancora oggi lo perseguitano e lo spingono, ogni giorno di più, verso la follia.
Egli teme di aver seppellito viva la moglie, condannandola ad atroci sofferenze come quelle che vide infliggere agli uomini e alle donne vittime dell’ Inquisizione.
In quest’opera, e ancora di più nel precedente I Vivi e i Morti, Corman dà il meglio di sè realizzando un intramontabile capolavoro di cinema gotico.
Ad aiutarlo in questa impresa il prolifico e sempre brillante sceneggiatore Richard Matheson, che per dare vita a questo film riprende in mano il racconto di Poe stravolgendone gli eventi e caricando l’atmosfera di tragico pathos.
Nel racconto originale si narravano, in forma di soliloquio, le emozioni di un uomo che stava per essere giustiziato dall’ Inquisizione spagnola mentre nel film la trama è diversa ma non meno drammatica. Nicholas Medina è figlio di un inquisitore e nei sotterranei del castello di famiglia si trovano ancora gli strumenti di tortura del padre. Da bambino Nicholas scoprì come questi macchinari venivano utilizzati e lo shock gli procurò terribili visioni che ancora oggi lo perseguitano e lo spingono, ogni giorno di più, verso la follia.
Egli teme di aver seppellito viva la moglie, condannandola ad atroci sofferenze come quelle che vide infliggere agli uomini e alle donne vittime dell’ Inquisizione.
L’atmosfera del film rispecchia egregiamente l’animo cupo e tormentato dei protagonisti sin dall’inquadratura iniziale della scogliera sulla quale è costruito il castello, gelida e sempre percossa dalle onde di un mare che non trova pace.
Altrettanto magistrali gli interni attraverso cui si muove la regia, come fosse uno spettro nascosto tra cunicoli illuminati dalla sola luce delle torce e coperti di polvere secolare.
La contrapposizione tra questi oscuri passaggi segreti e le stanze del castello elegantemente ammobiliate e decorate trasmette allo spettatore la sensazione che il pericolo, fuori da esse, sia sempre in agguato. La grande sala delle torture che ospita il diabolico meccanismo del pendolo sembra davvero, come grida lo stesso Medina, la porta dell’ inferno.
Gli attori immersi in questi scenari recitano ad un buon livello ma sopra a tutti si erge, come sempre, l’ineguagliabile Vincent Price, che dà vita al dramma interiore del suo personaggio con l’emotiva ed esasperata teatralità che solamente lui sa portare sul grande schermo.
Per tutto il film siamo così coinvolti dalla sua recitazione che dopo il finale, quando il climax è raggiunto e le ultime battute vengono pronunciate, ci attendiamo di vedere calare il sipario come in un vero teatro.
Altrettanto magistrali gli interni attraverso cui si muove la regia, come fosse uno spettro nascosto tra cunicoli illuminati dalla sola luce delle torce e coperti di polvere secolare.
La contrapposizione tra questi oscuri passaggi segreti e le stanze del castello elegantemente ammobiliate e decorate trasmette allo spettatore la sensazione che il pericolo, fuori da esse, sia sempre in agguato. La grande sala delle torture che ospita il diabolico meccanismo del pendolo sembra davvero, come grida lo stesso Medina, la porta dell’ inferno.
Gli attori immersi in questi scenari recitano ad un buon livello ma sopra a tutti si erge, come sempre, l’ineguagliabile Vincent Price, che dà vita al dramma interiore del suo personaggio con l’emotiva ed esasperata teatralità che solamente lui sa portare sul grande schermo.
Per tutto il film siamo così coinvolti dalla sua recitazione che dopo il finale, quando il climax è raggiunto e le ultime battute vengono pronunciate, ci attendiamo di vedere calare il sipario come in un vero teatro.
L’apparizione di Barbara Steele è breve ma di impatto, Corman la scelse dopo averla vista recitare ne La Maschera del Demonio di Mario Bava e ne rimase impressionato.
Anche i costumi sono ben realizzati e la tecnica di colorazione usata, il Pathècolor, è perfetta per dare alla pellicola un gusto “antico”.
Roger Corman mette in scena un capolavoro che diverrà un punto di riferimento per i registi del futuro e non si discosta da quella che fu l’essenza delle poesie di Poe anche se ne reinterpreta i contenuti. Ancora oggi possiamo cogliere gli echi del suo inconfondibile stile nelle produzioni contemporanee.
Da vedere assolutamente.
Anche i costumi sono ben realizzati e la tecnica di colorazione usata, il Pathècolor, è perfetta per dare alla pellicola un gusto “antico”.
Roger Corman mette in scena un capolavoro che diverrà un punto di riferimento per i registi del futuro e non si discosta da quella che fu l’essenza delle poesie di Poe anche se ne reinterpreta i contenuti. Ancora oggi possiamo cogliere gli echi del suo inconfondibile stile nelle produzioni contemporanee.
Da vedere assolutamente.
Curiosità:
- Il pendolo costruito per la scena finale era di legno ma la lama era di gomma.
- Il secondo film del ciclo su Poe non doveva essere Il Pozzo e il Pendolo bensì La Maschera della Morte Rossa. Corman riteneva quest’ultimo troppo simile a Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman e quindi ne posticipò la realizzazione.
VOTO: 8/10
VOTO: 8/10