Titolo Originale: Ceremonia Sangrienta (Letteralmente: Cerimonia Sanguinosa)
Regia: Jorge Grau
Cast: Espartaco Santoni, Lucia Bosè
Genere: Horror
Sottogenere: Gotico
Sottogenere: Gotico
“In fondo l’ha scritto anche Voltaire. Coloro che succhiano il sangue umano non sono precisamente i morti ma sono i vivi. Gli speculatori, gli usurai e gli altri veri vampiri, che non abitano nei cimiteri ma in palazzi comodi e lussuosi.” – Dottor Silas
Il marchese Karl Ziemmer vive nella sua lussuosa dimora con la moglie Erzebeth, diretta discendente della famigerata famiglia Bathory. Il rapporto tra i due non è idilliaco in quanto Karl rivolge tutte le sue attenzioni allo studio delle superstizioni popolari, in particolare delle leggende sui vampiri, e sua moglie cade spesso in depressione a causa dell’indifferenza che egli mostra verso di lei. Sotto consiglio della sua governante e fattucchiera Erzebeth ripercorre la via che rese tristemente famosa la sua antenata, iniziando ad uccidere giovani fanciulle vergini per fare il bagno nel loro sangue con la speranza di ringiovanire e riconquistare la bellezza di un tempo.
Jorge Grau firma sia la regia che la sceneggiatura di questo film e scrive di suo pugno una storia dalle sfumature tetre e dall’atmosfera cupa, accompagnandoci nei meandri dell’horror-gotico con successo.
L’originalità del tema purtroppo viene meno, in quanto le vicende della famosa Contessa Bathory erano già state portate sullo schermo da Peter Sasdy nel film Countess Dracula – La Morte va a Braccetto con le Vergini del 1971.
Questo non toglie che Grau riesca a mettere insieme il suo film con stile, intrecciando la figura della marchesa Erzebeth, maniaca omicida, con quella del marito Karl ossessionato dal vampirismo. I due elementi si fondono e percorrono una strada comune, rinforzandosi l’un l’altro e permettendo al film di avere un’ossatura di un certo spessore, sufficiente e tenere alta l’attenzione degli appassionati di genere.
L’ambientazione, datata 1807, è ricreata con attenzione e sorprendono soprattutto i lavori sui costumi, per la prima volta realizzati senza voler per forza stupire lo spettatore ma con un occhio più rivolto al realismo.
Abiti senza troppi orpelli per i nobili e stracci cuciti alla buona per i popolani permettono di uscire dal classico lavoro delle produzioni mainstream, in cui i costumi sono talmente curati in ogni dettaglio che finiscono per essere “finti e perbenisti” anche se realizzati da grandi maestri con doti indiscutibili.
La sceneggiatura non è ottima, alcuni dialoghi sono emotivamente spenti e poco originali, ma c’è un mix intrigante di elementi gotici e horror che riesce a intrattenerci con interesse fino alla fine.
Scene di nudi femminili, vampiri, sangue e riti popolari legati alle superstioni si susseguono, facendoci concentrare sull’atmosfera perversa e morbosa che domina il film più che sulle lacune dello script.
L’originalità del tema purtroppo viene meno, in quanto le vicende della famosa Contessa Bathory erano già state portate sullo schermo da Peter Sasdy nel film Countess Dracula – La Morte va a Braccetto con le Vergini del 1971.
Questo non toglie che Grau riesca a mettere insieme il suo film con stile, intrecciando la figura della marchesa Erzebeth, maniaca omicida, con quella del marito Karl ossessionato dal vampirismo. I due elementi si fondono e percorrono una strada comune, rinforzandosi l’un l’altro e permettendo al film di avere un’ossatura di un certo spessore, sufficiente e tenere alta l’attenzione degli appassionati di genere.
L’ambientazione, datata 1807, è ricreata con attenzione e sorprendono soprattutto i lavori sui costumi, per la prima volta realizzati senza voler per forza stupire lo spettatore ma con un occhio più rivolto al realismo.
Abiti senza troppi orpelli per i nobili e stracci cuciti alla buona per i popolani permettono di uscire dal classico lavoro delle produzioni mainstream, in cui i costumi sono talmente curati in ogni dettaglio che finiscono per essere “finti e perbenisti” anche se realizzati da grandi maestri con doti indiscutibili.
La sceneggiatura non è ottima, alcuni dialoghi sono emotivamente spenti e poco originali, ma c’è un mix intrigante di elementi gotici e horror che riesce a intrattenerci con interesse fino alla fine.
Scene di nudi femminili, vampiri, sangue e riti popolari legati alle superstioni si susseguono, facendoci concentrare sull’atmosfera perversa e morbosa che domina il film più che sulle lacune dello script.
Assistiamo alla rappresentazione di una leggenda popolare realmente esistita, secondo cui era possibile rintracciare la tomba di un vampiro grazie all’aiuto di un cavallo bianco cavalcato da un ragazzo o da una ragazza vergini. Solo in altri due film ritroviamo una scena simile, Dracula del 1979 e Subspecies del 1991.
Un’altra leggenda è riproposta con cura: nella scena iniziale, dopo aver scovato la tomba del vampiro, una ragazza chiede di poter prelevare qualche goccia di sangue dal cadavere. In seguito la ragazza preparerà del pane impastando la farina col sangue di vampiro. Questa era un’usanza antica di alcune zone della Polonia secondo la quale si credeva che mangiare del pane fatto col sangue di vampiro rendesse invulnerabili a queste creature.
E ancora: assistiamo al processo in cui i giudici chiedono alla moglie del defunto vampiro di identificarne il cadavere ed ella lo identifica come il signor Plogojowitz. Il riferimento è reale e richiama un caso di vampirismo del 1725 in cui si processò tale Peter Plogojowitz, un contadino accusato di aver ucciso nove compaesani.
Vi sono poi altri riferimenti al mito del vampiro: il magistrato che arriva in città si presenta col nome di Helsing, dal nome del famoso rivale di Dracula, il professor Abraham Van Helsing e la fattucchiera che dona a Marina la pozione d’amore si chiama Carmilla, come la vampira del famoso racconto del 1872 di Sheridan Le Fanu.
Le Vergini Cavalcano la Morte è la prima incursione del regista nell’horror e possiamo affermare che è stata fatta con una certa passione e un certo approfondimento. Lo stesso possiamo dire per gli attori che recitano con impegno e serietà, donando al film la possibilità di essere “preso sul serio” anche da chi non è avvezzo alle produzioni di serie B.
Un’altra leggenda è riproposta con cura: nella scena iniziale, dopo aver scovato la tomba del vampiro, una ragazza chiede di poter prelevare qualche goccia di sangue dal cadavere. In seguito la ragazza preparerà del pane impastando la farina col sangue di vampiro. Questa era un’usanza antica di alcune zone della Polonia secondo la quale si credeva che mangiare del pane fatto col sangue di vampiro rendesse invulnerabili a queste creature.
E ancora: assistiamo al processo in cui i giudici chiedono alla moglie del defunto vampiro di identificarne il cadavere ed ella lo identifica come il signor Plogojowitz. Il riferimento è reale e richiama un caso di vampirismo del 1725 in cui si processò tale Peter Plogojowitz, un contadino accusato di aver ucciso nove compaesani.
Vi sono poi altri riferimenti al mito del vampiro: il magistrato che arriva in città si presenta col nome di Helsing, dal nome del famoso rivale di Dracula, il professor Abraham Van Helsing e la fattucchiera che dona a Marina la pozione d’amore si chiama Carmilla, come la vampira del famoso racconto del 1872 di Sheridan Le Fanu.
Le Vergini Cavalcano la Morte è la prima incursione del regista nell’horror e possiamo affermare che è stata fatta con una certa passione e un certo approfondimento. Lo stesso possiamo dire per gli attori che recitano con impegno e serietà, donando al film la possibilità di essere “preso sul serio” anche da chi non è avvezzo alle produzioni di serie B.
Da notare il lavoro svolto sul personaggio della marchesa Erzebeth, magistralmente interpretata da Lucia Bosè: nel film non la si vede mai invecchiare ma nemmeno la si vede ringiovanire eppure nella scena finale ella si guarda allo specchio e l’immagine riflessa è quella di una donna anziana e prossima alla morte.
Questo ci fa capire che la donna è in realtà pazza e l’idea di poter ringiovanire col sangue delle vergini è solo una folle speranza creata dalla sua mente per sfuggire all’orrore della morte.
C’è anche una sottile critica al mondo della nobile borghesia, visto come il vero regno in cui abitano i vampiri ovvero tutti quegli uomini che si permettono lussi e ricchezze sulle spalle del popolo, non succhiandone realmente il sangue ma nei fatti privandolo di un’esistenza felice e dignitosa.
Purtroppo Jorge Grau realizzerà solo un altro film del brivido, conosciuto da noi col titolo Non si Deve Profanare il Sonno dei Morti ed è un vero peccato per gli amanti del genere perchè le premesse gettate da questo regista, sia a livello di stile che di contenuti, erano veramente accattivanti.
Questo ci fa capire che la donna è in realtà pazza e l’idea di poter ringiovanire col sangue delle vergini è solo una folle speranza creata dalla sua mente per sfuggire all’orrore della morte.
C’è anche una sottile critica al mondo della nobile borghesia, visto come il vero regno in cui abitano i vampiri ovvero tutti quegli uomini che si permettono lussi e ricchezze sulle spalle del popolo, non succhiandone realmente il sangue ma nei fatti privandolo di un’esistenza felice e dignitosa.
Purtroppo Jorge Grau realizzerà solo un altro film del brivido, conosciuto da noi col titolo Non si Deve Profanare il Sonno dei Morti ed è un vero peccato per gli amanti del genere perchè le premesse gettate da questo regista, sia a livello di stile che di contenuti, erano veramente accattivanti.
Curiosità:
- Per chi fosse interessato, ecco il link ad un articolo di Wikipedia in cui si narra del caso Plogojowitz:
http://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Plogojowitz
http://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Plogojowitz
- Jorge Grau fu assistente alla regia di Sergio Leone ne Il Colosso di Rodi.
- Assistiamo a due scene molto crude: in una i falchi del marchese Karl strappano le piume ad un altro uccello e nell’altra due bambini lanciano sassi contro un pipistrello inchiodato ad un albero. Le due scene sembrano reali e non realizzate con effetti speciali.
VOTO: 7/10